Un bellissimo articolo di Alessandra Bocchetti. E' uscito qualche tempo fa sull'Unità.

Un bellissimo articolo di Alessandra Bocchetti. E’ uscito qualche tempo fa sull’Unità.



Alessandra Bocchetti è storica figura del femminismo italiano, alla quale devo molto sia sul piano politico che sul piano umano. Ho avuto il privilegio di fare politica con lei quando era Presidente del Virginia Woolf.
In questo articolo dice cose che pochi e poche oggi dicono e sulle quali tutti noi dobbiamo riflettere.

Se le donne ci sono


«Nell’inverno del nostro scontento…» (generale) si parla molto di donne. E il succo dei discorsi è, nella stragrande maggioranza dei casi, che le donne non vanno bene, e che non si possono proprio sopportare. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo veramente, che sarebbe un vero sollievo e farebbe una grande chiarezza. Questo a leggere i molti articoli di commento sui nostri giornali, quasi ma non tutti a firma maschile, sulle ministre, sulle candidate e sulle ex candidate alla Casa Bianca, sulle donne al governo nel mondo o semplicemente le donne che fanno qualcosa che vada al di là della parte che l’immaginario patriarcale occidentale (ancora quello) le abbia assegnato. Male se sono incinte, se hanno figli, se non li hanno, se sono belle, se sono brutte, se sono buone, cattive, pacifiste, guerrafondaie, giovani, vecchie, malvestite, benvestite, tacchi a spillo, mocassini, allegre, tristi, di destra, di sinistra. Male, male, male. Tutto per negare il semplice fatto che le donne semplicemente «sono».

Verità fattuale "le donne sono" e quindi sono in tanti modi differenti. C’è chi ama la caccia e chi no, chi è per l’aborto e chi è contro, e così via. Essere donna non è una virtù, è semplicemente essere donna. E questo sembrerebbe una cosa dura da accettare. Ma ancora più dura quando si passa dall’essere all’ "esserci". Allora apriti cielo. Che fanno? Si candidano alla Casa Bianca?, dirigono giornali? Comandano i generali? Ma cosa è carnevale? con il servo in carrozza e il padrone in cassetta?

Nel femminismo, di onorata memoria, che oggi viene ricordato e raccontato così male, le donne avevano capito che per essere libere dovevano non essere più schiave delle loro virtù, ma essere padrone delle loro virtù, che significava il passaggio dal privato al pubblico, passaggio ahimè avvenuto imperfettamente. Passaggio imperfetto, debole, solo così si riesce a spiegare come mai in un paese che ha avuto il femminismo più politico del mondo, le donne si ritrovano in una condizione così misera sia materiale, sia simbolica. Nel nostro paese, nonostante la legge, ancora una donna è pagata meno di un uomo per lo stesso lavoro, la prostituzione impazza, e un canale pubblico, cioè pagato da tutti noi, dedica ben tre prime serate all’elezione miss Italia. Per limitarci a tre punti, ma l’elenco potrebbe essere sterminato. Che dire poi dei dibattiti assolutamente medievali che in questi anni si sono scambiati a proposito del corpo delle donne, dei suoi embrioni, delle sue tube, dei suoi desideri impropri ecc. a cui ha partecipato anche una sinistra compiacente, incerta, confusa, ambigua, complessata. E molti a dire ma le donne non dicono niente? ma le femministe dove stanno? Perfino Giuliano Amato che non è certo stato una amico del femminismo, di fronte a tanta indecenza si è ritrovato a dire «Quando c’era il femminismo questo non si sarebbe potuto vedere né sentire».

Ma il femminismo è stato un movimento e come tale ha avuto fine, un movimento vero non è mai eterno, è una scarica di energia, che produce pensiero nuovo, pensiero che va raccolto e tradotto per un cambiamento non solo delle coscienze ma anche dell’assetto del paese delle sue scelte, delle sue priorità, della visione di un futuro. E non sto parlando solo della "condizione delle donne", sto parlando della condizione di tutti. Un paese dove, nel tentativo impossibile di far quadrare il bilancio, si taglia sulla sanità, sui servizi, sulla scuola, sulla formazione, sulla ricerca è un paese dove le donne non esistono politicamente. Passaggio imperfetto.

È sempre incongruo andare a ricercare le colpe nella storia, tuttavia sarà possibile fare almeno un’analisi per capire parte delle ragioni della situazione in cui ci troviamo. Per prime le donne stesse, noi. È sempre meglio guardare dove avremmo potuto fare meglio. Per anni una parte di noi ha predicato quella che chiamo "l’aristocrazia del nulla" , cioè stare alla larga dalla politica istituzionale, grande successo se una donna usciva da un partito, congratulazioni se usciva dal sindacato e un premio speciale a chi assicurava che non ci avrebbe mai più messo piede.Tanta energia e intelligenza poi si sono investite nella ricerca di un Dio possibile anche per noi donne, ritenendo che per un soggetto non ci possa essere fondamento senza trascendenza. Tutto legittimo. Poi tante energie sono andate invece in un dialogo impossibile con una sinistra sorda e monolitica. Diciamoci la verità la sinistra che ha sempre sostenuto di "voler dare la parola alle donne" in verità si è ben guardata dal farlo e le donne, d’altra parte, si sono ben guardate dal prendersela. Eppure bisognerebbe ricordare che, in tante occasioni, la Sinistra non sarebbe stata veramente Sinistra senza le donne . Ne ricordo solo una: senza la pressione delle donne mai il Partito Comunista si sarebbe impegnato nella battaglia per la legge sull’aborto, lo fece obtorto collo, assolutamente costretto dalla forza delle sue donne, alleate in quella occasione - e fu una straordinaria occasione - con le donne del Movimento.

In quanto a misoginia i governi di sinistra sono stati a questo proposito esemplari. Alle pochissime donne sempre ministeri senza portafoglio, tranne poche eccezioni. O addirittura per loro i ministeri si inventavano, il capolavoro assoluto fu l’invenzione del Ministero della Famiglia che toccò alla povera Rosy Bindi a cui sarebbe spettato ben altro. Come, anni prima, Anna Finocchiaro piazzata in quell’altra bella invenzione che fu il Ministero delle Pari Opportunità. E come dimenticare, alle ultime elezioni amministrative romane, quel palco a Piazza del Popolo con Veltroni che presentava il candidato sindaco e il candidato alla Provincia e sul palco una sola donna su una sedia a rotelle. Piangere? Ridere? Una cosa è certa però: le donne si potrebbero sottrarre, non nel senso dell’"aristocrazia del nulla", ma nel senso dell’obiezione politica. Per esempio, le Ministre dell’ultimo governo Prodi, nel momento in cui - e ci deve essere senz’altro stato - si sono rese conto del piattino che era stato loro servito, tutte senza portafoglio tranne una, perché non hanno fatto un passo indietro? Perché non hanno detto «il Governo ve lo fate da soli», ben sapendo che un Governo ormai per "decenza internazionale" non si può più presentare senza donne?

Mi si potrebbe rispondere perché a quel tempo c’erano ben altre gatte da pelare. E proprio così arriviamo al nostro principale difetto, al re dei difetti: non considerarsi mai una priorità, non per se stesse ma per il proprio paese, incapaci di radicarsi nel pensiero di una verità tanto semplice, ma tanto semplice che dovrebbe essere superfluo nominarla: un paese di uomini e di donne non può essere governato da soli uomini, non per un astratto senso di giustizia, ma semplicemente perché funzioni meglio, perché sia più equilibrato. Non è vero che gli uomini e le donne sono complementari, si sono necessari per vivere insieme.

Devo dire la verità, da un po’ di tempo a questa parte vivo con la sensazione che questo paese abbia perso l’anima e che siamo tutti soli, orribile sensazione, ma se c’è qualcosa della scena pubblica che ancora mi commuove, che mi dà forza, che mi dà piacere, ma anche infinita rabbia delle volte, è guardare le donne che cercano di fare il loro meglio là dove hanno scelto di stare. Quindi coraggio e buon lavoro a tutte.

Forse perché sono proprio incorreggibile.

* filosofa, teorica del femminismo

Paola Concia

Paola Concia

Abruzzese di nascita, mi sono laureata presso La Facoltà di Scienze Motorie de L'Aquila. Il mio impegno in politica ha avuto inizio negli anni ottanta nel Partito Comunista Italiano, poi nei Democratici di Sinistra e in seguito nel Pd, di cui attualmente sono membro della Direzione Nazionale.

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