Un articolo uscito sul "Foglio" Sabato 4 agosto, dal titolo significativo.

Un articolo uscito sul “Foglio” Sabato 4 agosto, dal titolo significativo.

IL MIO NEMICO DEL CUORE

La cattolicissima Binetti e la militante gay dopo mesi di roventi polemiche si ritrovano amiche e solidali. E non è solo un capriccio del destino

di
Stefano Di Michele

“Mannaggia, ma chi ci pensava? Porco Giuda! Ma ti rendi conto cosa doveva capitarmi! Mai, mai mi sarebbe venuto in mente, ti giuro, mai...”. E ride, ride divertita e ride certo sollevata, Anna Paola Concia. Il tumore è andato via, non c’è più. Il male cancellato, estirpato. Scrivo: gravemente malata... “No, no: scrivi guarita da un tumore. Guarita, è più bello...”. Poteva essere solo una storia di personale dolore e di personale felicità, questa qui. Niente di più – e certo, per chi si trovava a viverla, niente di meno. Invece è diventata storia pubblica, quasi perfetta metafora di un tempo politico. Anna Paola Concia ha giocato molto a tennis, nella sua vita. Ha fatto la maestra di tennis, ha insegnato educazione fisica. Ma questo non c’entra con la nostra storia,  anche se pure questo è importante. E’ presidente dell’Agenzia per lo sport della regione Lazio. Pure questo ha la sua importanza, relativa ma ce l’ha. Soprattutto Anna Paola, insieme al suo amico Andrea Benedino, è la portavoce nazionale di Gayletf, l’organizzazione di gay e lesbiche e trans d’area Ds. E questo sì che ha il suo peso. Nei mesi scorsi, nel fuoco dello scontro sui Dico, Anna Paola Concia ha dovuto fronteggiare un avversario in particolare: Paola Binetti, medico, senatrice della Margherita, cattolica granitica. Una “nemica” politica e culturale. E mica solo per dire. Per esempio, se uno prende l’Unità del 5 marzo scorso, trova un articolo che porta la doppia firma proprio di Anna Paola Concia e Andrea Benedino. Titolo: “Cara Binetti facci guarire”. Nel fervore delle polemiche, parecchi oppositori dei Dico vagavano tra la fervente difesa della sacralità della famiglia e, onestamente, un certo pecoreccio d’antan, puzzo di caserma. I due se la prendono con Berlusconi, se la prendono con Andreotti, se la prendono con la signora Mastella, a un certo punto con “la solita senatrice Binetti”, che “ha affermato in tv che gli omosessuali sono dei deviati, che non sono persone normali”. E perciò, ironicamente, “aiutateci a ‘guarire’. E allora ci piacerebbe sapere, però, qual è la branca della medicina a cui possiamo rivolgerci (psichiatria? malattie infettive?)”. E nello specifico: “Soprattutto a lei, senatrice Binetti, che è un medico, chiediamo: qual è la medicina?”. Poi, sono successe alcune cose, e molto importanti. Non è tanto la questione del destino dei Dico, poi Cus, in seguito si vedrà. Anche questo qui interessa poco. E’ accaduto che Anna Paola ha scoperto la sua malattia (quella vera, quella minacciosa). Ha avuto umanamente paura, si è operata, ce l’ha fatta. E vicino a lei, al suo letto, nei suoi giorni – quando si è addormentata prima dell’operazione, quando si è svegliata alcune ore dopo – c’era proprio la “nemica” Binetti che le teneva la mano, e parlavano e parlavano e parlavano. “E’ una cosa assolutamente profonda e vera, la sensazione che esiste comunque un terreno di umanità, dove c’è la possibilità d’incontrarsi. E’ anche la malattia che scava e che ti mette in un’ottica diversa...”, racconta ora Anna Paola Concia. “E’ bello sparigliare con certi giochi, restituire il valore anche alle persone, fuori dal reciproco immobilismo”, dice invece la senatrice Binetti. “Trovo che il nuovo riformismo necessario sia il riformismo dello stile umano anche in politica, un recupero dei rapporti”. La scoperta della loro amicizia, Anna Paola di Gayleft e Paola dell’Opus Dei non l’hanno tenuta per loro. L’hanno raccontata – storia non tanto (o non solo, per chi così vuol vederla) edificante, quanto  esemplare di ciò che inaspettatamente può succedere nella vita delle persone – in due articoli proprio sulla prima pagina dell’Unita. Mercoledì scorso Anna Paola Concia: “Io, lesbica assistita dalla Binetti”. Giovedì Paola Binetti: “Io, Paola Concia e l’umanità della politica”. Scrive la prima: “Nessuno può dire che io non faccia una battaglia alla luce del sole. Nessuno può dirlo di lei. Siamo in un’arena, la nostra sfida e sotto gli occhi di tutti, e tutti possono giudicare vittorie e sconfitte. Questo significa cimentarsi. Questa sarebbe la cosa bella della politica. In questi mesi ho avuto modo di confrontarmi con lei sulle questioni che stanno a cuore a entrambe. Ci siamo guardate in faccia, nessuna ha mai abbassato lo sguardo”. Scrive la seconda: “L’amicizia politica dovrebbe tornare ad essere il parametro essenziale a cui far riferimento nel futuro Partito democratico. Una amicizia umana, schietta e leale, perché nell’amicizia si riafferma la pari dignità delle persone (...) E in politica amicizia dovrebbe significare anche capacità di cogliere attraverso la testimonianza dell’altro anche quelle realtà che ci sono meno familiari per cultura e sensibilità”. Racconta Anna Paola: “Proprio in questi mesi mi è successo di scoprirmi un tumore alla tiroide, e in 24 ore ho dovuto decidere dove operarmi (...) Avevo una grandissima paura. La paura della vita. Lei era lì a tranquillizzarmi, con la sua tenuta da sala operatoria, a distrarmi con storie improbabili fino a qualche secondo prima dell’anestesia. Ed era lì a svegliarmi da quel sonno terribile. Alla fine ha rassicurato mia sorella e le mie amiche (tra cui qualcuna della sinistra democratica) e altrettanto tranquillamente mi ha salutato e se n’è andata”. Spiega la credente: “Si può non essere d’accordo e sentir crescere la stima per l’altro e per le sue posizioni”. Spiega la militante gay: “Lo racconto perché questo gesto di Paola Binetti, in un paese che sembra impazzito, è sembrato una stravaganza. E sono sembrata bizzarra io che l’ho accolto... Questa politica che sembra essere un campo di battaglia lasciato a regole barbare, non mi appartiene”. Sono passati alcuni giorni, il male vero è dissolto, forse la contesa politica presto ricomincerà. Sorride Paola Binetti: “Se riesce a metterlo in maniera non clericale, ecco, vorrei spiegare che per me non esiste un modo di essere cattolici al di fuori di un vissuto di carità. Carità non come burocratica freddezza, ma come più alta cifra dell’amore. E poi, in questa storia aggiunga il fatto che c’erano due donne. In tutti i contesti dove ci sono donne, c’è sempre una rete di rapporti, un far famiglia, direi. Lo stile dei maschi è invece quello del castello medievale, chiuso e arroccato”. E ora che la battaglia riprendera? “Sono pronta a cercare in tutti i modi la soluzione giuridica per riconoscere i diritti individuali”. Ride felice Anna Paola: “La possibilità di incontrare le persone su un piano diverso ti dà la possibilità di un altro punto di vista. Siccome sono una grande ambiziosa, vorrei far capire a Paola che cos’è l’omosessualità come esperienza umana, libere entrambe da qualsiasi ideologia. Credo che lei possa capire, ha disponibilità d’animo”. Anna Paola sa che anche molti nel suo movimento hanno criticato le parole che ha usato verso la Binetti – “quella ci ha definiti malati e tu ne parli bene!”, il rimprovero – e replica: “Posso capire la rabbia, ma davvero dobbiamo cercare di cambiare la cultura di questo paese”. Un momento di pausa. “Tutti noi, quanto siamo banali in questo mondo politico, a volte vuoti stereotipi. Nessuna vera passione, nessun vero odio, tutto un teatrino. Credo ci sia molta più sapienza nell’incontrarsi che nello scontrarsi...”. Dice pure così, che dopo le accuse di malattia (ideologica) e devianza dei mesi scorsi, “di fronte alla malattia vera, in un ospedale, ho parlato con Paola proprio di che cos’è la sofferenza omosessuale per la non accettazione”. La storia della scoperta dell’amicizia tra la lesbica e la cattolica, tra Anna Paola e Paola, e del resto entrambe destinate a convivere nel Partito democratico che verrà, ha innanzitutto questo valore di metafora, di altro senso. Il nemico che a un certo punto è al tuo fianco, l’avversario che ti tende la mano, chi doveva combatterti e invece ti accoglie. Perché la persona spesso è meglio della funzione, perché la curiosità, quando emerge il meglio di noi, è più forte del rifiuto. Non succedono spesso storie come quelle di Anna Paola e di Paola. Al più, sciolti i ghiacciai della prima Repubblica c’è curiosità o simpatia per il nemico ora solo vicino e per il suo immaginario – Fausto Bertinotti che pubblicamente elogia Celine, il Secolo d’Italia che s’invaghisce dei cantauotori di sinistra – ma qui si parla d’altro. Ma a volte è successo, anche in passato. Nel Transatlantico di Montecitorio c’è il rifondatore comunista Augusto Rocchi che racconta di quel tempo, ormai più di trent’anni fa, alla Statale di Milano: “Ho salvato più volte Roberto Formigoni e Antonio Intiglietta, fondatore della Compagnia delle Opere, dalle botte all’università. A metà degli anni Settanta, noi vecchi militani del Pci facevamo a legnate con quelli del Movimento lavoratori per il socialismo per difendere il diritto di Comunione e Liberazione di presentare le sue liste. Io ero segretario della Fgci, Enrico Mentana era segretario dei giovani socialisti, c’erano Paolo Hutter e Gad Lerner per Lotta continua...”. Poco più in là, un piccolo episodio dell’epica del nemico che si fa amico lo racconta Paolo Cento, sottosegretario verde all’Economia, ultras romanista di fede e convinzione: “Sono andato in carcere a trovare gli Irriducibili della Lazio arrestati. Il garantismo non deve essere a intermittenza, e otto mesi di custodia cautelare sono troppi anche per un laziale. E’ nata una grande amicizia, anche se gli Irriducibili non sono proprio schierati a sinistra...”. Storie così. O storie che toccano il mondo contiguo – quello dei diritti, della scoperta della diversità, di ciò che paga pegno al fanatismo – alle discussioni tra Anna Paola e Paola lì nella stanza d’ospedale e, prima ancora, agli scontri sui giornali. Alessandro Zan è il segretario dell’Arcigay veneto, consigliere comunale a Padova, uscito dai Ds pochi mesi fa visto lo scarso impegno del partito sui temi della laicità. Anche lui una volta si trovò ad aiutare il “nemico” – e nel suo caso “nemico”, forse, non è un termine eccessivo. “Alcuni anni fa venne da me un ragazzo, aveva diciotto- vent’anni. Con un linguaggio, diciamo così, paraverbale, mi fece capire che era omosessuale. Cominciammo a chiacchierare. Aveva bisogno di sfogarsi, di aiuto, di poter parlare. La cosa curiosa è che quel ragazzo era un militante di Forza Nuova, anzi credo sia ancora di Forza Nuova. Lui tenne a lungo nascosta la sua provenienza politica, alla fine raccontò anche quella. Un militante dall’aria dura , molto determinato. Lo aiutammo, certo non passò a sinistra...”. Una richiesta d’aiuto quasi estrema, quella a Zan, un nemico che bussa alla porta – e che ufficialmente e di sicuro pubblicamente tuo nemico – basta coi froci! – resta. Diversa la storia che narra Andrea Benedino, che con Paola Concia guida Gayleft. Lui è anche assessore diessino a Ivrea. Anni fa, quando era presidente del Consiglio municipale, fece il suo coming out: “Una delle persone che mi fu più vicine fu un giovane consigliere comunale di An. Forse fu una questione generazionale, ma umanamente fu sempre al mio fianco, anche se avversari politici. Una vicenda saldamente emotiva di amicizia... Io auspico che si arrivi al più presto a una deideologizzazione di tutto questo dibattito sui diritti degli omosessuali. La Binetti è un avversario con cui rapportarci, e per esempio Rosy Bindi non è certo meno ideologica, anzi... Se uno solo pensa alla conferenza sulla famiglia di Firenze di poco tempo fa”. Soccorrere il nemico o farsi soccorrere da esso, un cambiamento di cuore, forse a volte (probabilmente il più delle volte) solo un caso. Donna Assunta Almirante, la vedova di Giorgio, lo storico segretario del Msi, spesso racconta quello che capitò a suo marito, che nel pieno della Repubblica di Salò (Almirante era capo di gabinetto del ministero della Cultura popolare) nascose nella foresteria dello stesso ministero un suo amico ebreo e la sua famiglia; e gli amici ebrei poi lo nascosero a loro volta, subito dopo il crollo del fascismo, per salvarlo dalla fucilazione. “Fu  ascosto per parecchio tempo – racconta Assunta Almirante – e nel frattempo lavorò anche come venditore di saponette e di corde per far partire i motorini, anche se non ci capiva niente. Raccontava di come si sentì mortificato la sera che il padrone dell’officina, anche lui ebreo, gli diede mezza pagnotta di pane e gli disse: vai a trovarti anche una ragazza. Giorgio diceva che si sentì sprofondare sotto terra”. Accettò il soccorso del nemico, allora. “Almirante considerava tutti avversari, lui ricordava con grande rancore e odio solo i tedeschi. Era fascista, ma antinazista. E quando morì Berlinguer – politicamente il suo maggiore avversario – andò a rendergli omaggio a Botteghe Oscure”. I destini fanno giri curiosi, a volte. In politica, nel campo della morale, in letteratura. Anche nel giornalismo. Da tempo fa discutere un libro scritto da Andrea Colombo, giornalista del Manifesto, persino ex dirigente di Potere operaio, uno dei portavoce di Rifondazione comunista. Se negli anni passati aveva avuto a che fare con i fascisti, certo non era stato in termini di collaborazione. Il libro ha per titolo “Storia nera” (Cairo editore), lavoro “innocentista” su Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che molto ha fatto rumoreggiare a sinistra. “Una bugia che garantisce una verità storica – sostiene Colombo – a me sembra una gran porcata”. E i giornali hanno resocontato della presentazione del volume, quella sala dove si attruppavano gente del Manifesto e deputati di An, ex brigatisti ed ex terroristi neri, parenti di vittime di sinistra e parenti di vittime di destra: ognuno col vecchio nemico a fianco. Non si può mai dire. Non c’è un solo episodio della saga dove don Camillo non aiuti Peppone e dove il comunista non faccia lo stesso poco dopo con il prete. Perché è così, o magari perché sarebbe bello che così fosse. Certo, il sospetto del tradimento in casa propria c’è sempre, se troppo ci si avvicina all’altro, ma a volte è l’unica possibilità di suscitare necessario stupore. Come di sicuro stupì Marco Pannella, definito da Ernesto Galli della Loggia “incorrotto e incorruttibile”, che all’alba (politica) di Tangentopoli cominciò ad adunare all’alba (inteso inizio di giornata) i parlamentari inquisiti, fino ad attrupparne 230, non ben disposti verso la prospettiva di tornare a casa e pronti a consegnarsi politicamente al fustigatore numero uno della loro partitocrazia. Che intanto certificava: “Queste sono le migliori Camere dal dopoguerra!”. Il passo vicino del nemico in tua difesa a volte è colore, a volte è tragedia. In casi (molto) più rari letteratura. E’ successo con la vicenda di Telesio Interlandi, direttore dell’insopportabile “La difesa della razza”, che al crollo del regime fu a lungo nascosto in casa di un suo avversario, un mite socialista, Enzo Paroli. Una vicenda straordinaria su cui ha scritto un intenso libretto (“In questa notte del tempo”, Sellerio editore), un magistrato siciliano, Vincenzo Vitale. E nasconde Interlandi, l’avvocato Paroli, pur dicendogli in faccia ciò che pensa di lui: “Lei non ha ucciso nessuno. Mai deportato nessuno. Ma forse ha fatto di peggio. Ha contribuito a creare le condizioni spirituali perché si uccidesse e si deportasse. Perché si consumasse forse il più orrendo dei crimini: che ci fossero razze, e non uomini!”. E allora perché difendere un simile individuo? Spiega, il socialista, che “rappresenta per me come la prova suprema del mio vivere, del mio stesso onore di uomo... salvare lei e la sua famiglia è salvare me stesso”. Il nemico che soccorre e cambia la sorte è anche il tema di “Soldati di Salamina”, bellissimo romanzo di Javier Cercas (Guanda editore), “perfetta simbiosi tra realtà e finzione”, dove si racconta come e perché, durante la guerra civile spagnola, un soldato repubblicano lascia e sorprendentemente in vita Rafael Sànchez Mazas, fondatore e ideologo della Falange. Sullo schermo, il film che meglio narra la passione di un ex nemico è forse “La moglie del soldato”, dove un terrorista dell’Ira cerca in ogni modo di salvare la vita al soldato inglese preso prigioniero. Non ce la fa, il militare muore in un grottesco incidente, ma la vita del terrorista muta completamente. Va anche a cercare la donna del soldato, la moglie del titolo, una parrucchiera che vive a Londra. Ma chi ha smesso di essere nemico una volta dovrà farlo una seconda volta... E allora, quasi si torna a ciò che ha fatto scontrare e poi incontrare Anna Paola e Paola.

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Paola Concia

Paola Concia

Abruzzese di nascita, mi sono laureata presso La Facoltà di Scienze Motorie de L'Aquila. Il mio impegno in politica ha avuto inizio negli anni ottanta nel Partito Comunista Italiano, poi nei Democratici di Sinistra e in seguito nel Pd, di cui attualmente sono membro della Direzione Nazionale.

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