Piazza San Giovanni è pure nostra

Piazza San Giovanni è pure nostra

DI ANDREA BENEDINO E ANNA PAOLA CONCIA

Il Pride. Guardandoci in faccia ci siamo detti: ma di quanti Pride abbiamo parlato in questi anni? E ancora siamo qui, in questo paese che è diventato vorace, perché tutto vuole divorare, come in una onnivora ricerca dello scoop, del gossip, di qualcosa che ci distolga da questo Circo Barnum che sono diventate le nostre vite pubbliche e private. Cosa c'è di meglio, allora, dei «froci» che si riuniscono nel loro annuale raduno, per il mondo della comunicazione? Tutta carne di porco per i media, che possono dare così libero sfogo alla loro omofobia repressa camuffata da informazione. Tette e culi al vento. Immagine pubblica per rassicurare chi pensa che per fortuna quei «froci» sono così lontani dalle nostre vite belle e apparecchiate, dalla nostra bella «famiglia», dove sì certo, qualche «frocio» ogni tanto ci scappa, qualche magagna, qualche omicidio, più spesso uxoricidio, qualche padre che violenta i figli, o qualche figlio che ammazza i genitori. Ma giammai queste quisquilie possono intaccare un istituto così solido e inossidabile. Giammai.
Poi, 'stì «froci» proprio a San Giovanni dovevano andare? Irriverenti, come al solito. Estremisti. Non serve a niente dire che il Pride si organizza dal 1969. E che ogni anno, di anno in anno con grande anticipo si decide data e luogo. Parole inutili e vuote di fronte alla forza mistificatrice dei media. E dire «Scusate, ma c'eravamo prima noi!» non serve a niente. San Giovanni è diventata la piazza del Family Day e «tutto il resto è noia». Tutto il resto è organizzato «contro di loro». Ma quella piazza, come tutte le piazze, vivaddio, non è di nessuno perché è di tutti. Vi preghiamo: lasciateci le piazze, che non sono né di destra né di sinistra, fatelo tutti, però, gente di destra e gente di sinistra. Questo paese bizzarro e impazzito sembra aver perso qualsiasi bussola. Aiuto! Chiamate l'Onu, i Caschi Blu, gli osservatori internazionali: perché l'Italia sta diventando un paese da mettere sotto tutela. O sotto osservazione delle forze internazionali che sovrintendono ai principi democratici.
Noi, dolorosamente, abbiamo paura di non poterci fidare più della nostra democrazia. Non lo diciamo per qualunquismo o perché sedotti dall'antipolitica: non potremmo mai sottrarci alle nostre responsabilità. Lo diciamo invece con la responsabilità di chi vorrebbe essere gruppo dirigente di questo paese. Già lo siamo, per la verità. Ma siamo tenuti ai margini, paria di un sistema che ci respinge, ci butta fuori. Perché? Perché diciamo la verità. E questa piccola politica tutta involuta, non se la vuole sentire dire. È più facile espellere quelli che la dicono. Sono così pochi... Ma torniamo al tormentone del Pride. Vorremmo segnalare come lentamente e tatticamente il tema dei diritti civili, delle coppie di fatto, con la complicità di quasi tutti i media sta per essere archiviato. Per paura, solo ed esclusivamente per la paura di affrontare la realtà. O per paura di mettere in crisi i già fragili equilibri di governo. È un tema troppo scomodo, mette in gioco troppe cose e soprattutto mette in gioco una cosa troppo importante: l'idea di quale società vogliamo costruire. E su questo la politica italiana non è preparata, non sa da dove cominciare e soprattutto è troppo fragile per affrontare una cosa del genere. È di fronte a questa fragilità che fa capolino la settimana del Pride che sta per cominciare. Una settimana fatta di iniziative, incontri, dibattiti e che si concluderà con la tanto temuta manifestazione. Per mettere al centro non «tette e culi», non la trasgressione omosessuale che tanto stuzzica e tanto fa paura. Ma per mettere sulla scena pubblica le nostre vite, così trasgressivamente banali.
Eh sì, perché come abbiamo detto tante volte gli omosessuali quando appaiono normali spaventano. Vogliamo essere famiglia anche noi. Ma vi rendete conto di quanto è poco trasgressivo tutto questo? Così poco trasgressivo da apparire quasi rivoluzionario per la nostra società. Non abbiate paura allora, cari politici, perché in realtà stiamo chiedendo le stesse cose di Pezzotta, della Binetti. Stiamo chiedendo il rispetto delle nostre famiglie. Non abbiate paura del Pride. Veniteci. Anche solo per divertirvi. È noto come i nostri cortei siano da sempre allegri, giocosi, ironici. Mica come quei tristi cortei funebri a cui sempre di più somigliano le tradizionali manifestazioni della sinistra. Da noi non c'è mai stata traccia di violenza o di black bloc. Al massimo potremmo parlare di Pink Bloc, perché nei Pride c'è amore che circola. E come dicono spesso i nostri amici (scherzando) quando ci invitano alle loro feste «portate un po' di froceria che fa colore». Non abbiate paura, vedrete che se avremo diritti, porteremo colore a questa nostra società così grigia e buia, che ne ha tanto bisogno.
Portavoce Nazionali Gayleft - Consulta lgbt-ds

Paola Concia

Paola Concia

Abruzzese di nascita, mi sono laureata presso La Facoltà di Scienze Motorie de L'Aquila. Il mio impegno in politica ha avuto inizio negli anni ottanta nel Partito Comunista Italiano, poi nei Democratici di Sinistra e in seguito nel Pd, di cui attualmente sono membro della Direzione Nazionale.

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